Pablo Picasso: Arlequín
con espejo (1923).
Óleo sobre lienzo, 100 x 81 cm. Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid.
Arlecchino
e la malinconia
L'occasione di avere in Italia una delle opere piu dense
e splendide di Pablo Picasso, Arlequín con espejo, va vista come
"un ritorno". Il dipinto, infatti, nasce dall'impatto che ebbe
sull'artista il viaggio fatto in Italia nel 1917, in compagnia di Jean Cocteau.
Superato in pieno l'ambito stilistico del cubismo, nelle otto settimane che
trascorre a Roma, in uno studio di via Margutta, impegnato nelle scenografie e
nelle decorazioni del balletto Parade, che debuttò a Parigi il 18 maggio di quello stesso
anno, Picasso si impregna dello spirito della tradizione classica e del
dinamismo espressivo che caratterizza i personaggi della commedia dell'arte. Decisivo
sarà anche il viaggio a Napoli e Pompei, che gli rivela il legame tra
classicismo e antichita. La mediterraneità, il sole, diventeranno per Picasso
lo spazio del mito in quanto riflesso sulla natura e sulle forme culturali di
una visione della vita in cui gli esseri umani stabiliscono flussi di comunicazione
con gli dei, nella loro metamorfosi infinita.
La figura dell'Arlecchino, che si fonde con quella
di acrobati e saltimbanchi, è protagonista
nella produzione di Picasso fin quasi dagli inizi. Un Arlecchino pensoso del
1901, oggi forma parte delle collezioni del Metropolitan Museum di New York.
Nel 1915 dipinge una versione cubista dell'Arlecchino che, secondo Gertrude
Stein, lo stesso Picasso considerava fino a quel momento il miglior quadro che
avesse mai realizzato. Nel 1916 l'Arlecchino compare nuovamente in una serie di
disegni. Nel 1917, dopo il viaggio in Italia, uno stupendo quadro di
Arlecchino, il cui volto ha le sembianze di Léonide Massine e che attualmente si
trova al Museu Picasso de Barcellona, denota ormai chiaramente come Picasso
associ questo personaggio a una figura della malinconia.
Arlequín con espejo appartenente a
un ciclo di quattro Arlecchini di formato analogo dipinti tutti nello stesso
anno (1923), rappresenta un ulteriore passo in questa direzione. Gli studi
radiografici della tela, condotti nel 1995, rivelano che l'intenzione iniziale di
Picasso era di conferire al personaggio i propri connotati, mentre, nella
versione finale, il viso acquista dei tratti indefiniti, lo sguardo è assorto, quasi una maschera immersa in
un'autocontemplazione allo specchio. Pur indossando il caratteristico cappello
a due punte di Arlecchino, il vestito del personaggio non è il tradizionale costume arlecchinato che gli da appunto
il nome, ricorda piuttosto gli abiti di un
acrobata.
acrobata.
Cosa sta guardando questo personaggio -Arlecchino,
secondo Picasso- assorto allo specchio? Senza dubbio, osserva l'immagine
riflessa di se stesso. Ma dove ci porta quest'immagine? La forza enigmatica, l'attrazione
intensa che esercita il dipinto, portano a comprendere che quello sguardo viaggia
lontano nel tempo e nello spazio. È uno sguardo che si immerge nelle profondità di un
mondo rimpianto ma, al contempo, irrecuperabile. Analogamente all'angelo dipinto da Dürer in Malinconia I (1514), l'Arlecchino picassiano sembrerebbe star contemplando allo specchio gli ultimi raggi di un sole distante e tuttavia non ancora scomparso del tutto. Esso è, allo stesso tempo, l'eco della cultura dell'antichita classica, del perdurare del classicismo nel tempo, attraverso continue rinascite che giungono fino ai giorni nostri, fino al momento storico delle avanguardie artistiche, fino al nostro attuale presente, cosí pieno di perturbazioni e incertezze.
mondo rimpianto ma, al contempo, irrecuperabile. Analogamente all'angelo dipinto da Dürer in Malinconia I (1514), l'Arlecchino picassiano sembrerebbe star contemplando allo specchio gli ultimi raggi di un sole distante e tuttavia non ancora scomparso del tutto. Esso è, allo stesso tempo, l'eco della cultura dell'antichita classica, del perdurare del classicismo nel tempo, attraverso continue rinascite che giungono fino ai giorni nostri, fino al momento storico delle avanguardie artistiche, fino al nostro attuale presente, cosí pieno di perturbazioni e incertezze.
Parlando della sua opera, Picasso fece una chiara
distinzione tra "evoluzione" e "variazione", negando in
modo assoluto che "le diverse maniere" impiegate nel suo lavoro
potessero esser considerate un"'evoluzione". Si tratterebbe, al
contrario, di variazioni rivolte verso un unico obiettivo: «Tutto cio che ho
fatto nella vita è stato
mirato al presente e con la speranza che perduri per sempre nel presente".
Infatti, per I'artista, «nell'arte non esiste né il passato né il futuro. Se un'opera
d'arte non puo vivere sempre nel presente non va presa in considerazione»,
afferma Picasso in The Arts nel 1923. Ed è li che andrebbe a collocarsi l'ultimo
flusso dello sguardo malinconico dell'Arlecchino
acrobata, che salta nel tempo dalla commedia dell'arte alle reminiscenze
di una tradizione classica, la quale, ben lungi dall'essersi esaurita, è sempre viva. Come I'arte. Classico è ciò che
continua a vivere nel presente eterno dell'arte.
PUBLICADO
en el catálogo Arte torna arte, mostra a cura di Bruno Corà, Franca Falleti e Daria Filardo; Galeria dell'Accademia, Firenze, 7 maggio - 4 novembre 2012, pp. 174-175.
Arlequín y la melancolía
La
figura de Arlequín, fusionada con las de acróbatas y saltimbanquis, tiene una
intensa presencia a lo largo de la obra de Picasso, en la que aparece ya
prácticamente desde los inicios. Un sensacional Arlequín acodado, de 1901, forma parte hoy de las colecciones del
Metropolitan Museum de Nueva York. En 1915 realizaría una versión cubista de
Arlequín que, según Gertrude Stein, el propio Picasso consideraba el mejor
cuadro que había hecho hasta entonces. En 1916, Arlequín aparece de nuevo en
una serie de dibujos. En 1917, después del viaje a Italia, una espléndida
pintura de Arlequín, cuyo rostro corresponde a Léonide Massine y que hoy se
conserva en el Museo Picasso de Barcelona, marca ya plenamente la asociación en
Picasso del personaje con una figura de
la melancolía.
El
Arlequín con espejo del Museo Thyssen-Bornesmiza,
que forma parte de un conjunto de cuatro Arlequines de formato parecido y
pintados en ese mismo año (1923), supone un paso más en esa dirección. Los
estudios radiográficos de la tela efectuados en 1995 mostraron que la intención
inicial de Picasso era darle al personaje su propio rostro, que en la versión
final se transformó en una cara indefinida, de mirada absorta, casi una
máscara, perdida en su auto-contemplación en el espejo. Aunque sí lleva el
sombrero de dos picos característico de Arlequín, el traje del personaje no es
el conocido vestido arlequinado que le da nombre, y recuerda en cambio la
indumentaria de un acróbata.
¿Qué
mira este personaje, Arlequín dice Picasso, absorto en el espejo? Desde luego,
mira el reflejo de sí mismo. Pero, ¿a dónde lleva ese reflejo? La fuerza
enigmática, la atracción intensa que desprende la pintura, nos llevan a
comprender que la mirada se desplaza lejos en el tiempo y el espacio. Es la
mirada que bucea en un mundo añorado y, a la vez, perdido, irrecuperable. Igual
que el ángel de Durero en su Melancolía I
(1514), el Arlequín picassiano parecería estar contemplando en el espejo los
últimos rayos de un sol distante, lejano, y sin embargo no extinguido. Es, a la
vez, el eco de la cultura de la Antigüedad Clásica, de la pervivencia del
clasicismo en el tiempo a través de los renacimientos continuos que llegan
hasta nuestro presente, hasta el tiempo histórico de las vanguardias artísticas
e incluso hasta nuestro presente actual, tan lleno de perturbaciones e
incertidumbres.
Hablando
de su obra, Picasso distinguió cuidadosamente entre "evolución" y
"variación" para rechazar rotundamente que "las diversas maneras"
utilizadas en su trabajo pudieran considerarse una "evolución".
Serían, por el contrario, variaciones,
pero todas ellas dirigidas a un mismo objetivo: "Todo lo que he hecho en
mi vida ha sido para el presente, y con la esperanza de que siempre continúe en
el presente." Pues, para él, "no hay en el arte ni pasado ni futuro.
Si una obra de arte no puede vivir siempre en el presente no se la debe tomar
en consideración." [Declaraciones de Pablo Picasso a Marius de Zayas, en The Arts, 1923, el mismo año en el que
pinta el Arlequín con espejo].
Ahí
se situaría el último flujo de la mirada melancólica de este Arlequín acróbata, saltando en el
tiempo, de la commedia dell'arte, a
las huellas de una tradición clásica que, lejos de haberse extinguido, permanece
siempre viva. Como el arte. Lo clásico
es lo que sigue viviendo en el presente
eterno del arte.
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